Migrazioni e diritti

"Dramma e crimini nel Mediterraneo passati sotto silenzio"

15 maggio 2020

Le ultime notizie dal Mar Mediterraneo, sebbene scarse, non lasciano tranquilli. Nonostante il silenzio mediatico sulla vicenda quelle acque continuano a essere teatro di morti e di violazioni dei diritti umani. L’emergenza sanitaria che colpisce il mondo relega ancora più in basso nella scala delle priorità il problema delle migrazioni, che non cessano certo di avvenire. Con le finestre di bel tempo, come al solito, gommoni mal equipaggiati sono partiti dalla Libia, come si apprende da quei casi (probabilmente una gran minoranza) in cui le persone disperate sono riuscite a contattare l’ONG Alarm Phone, che si occupa di raccogliere le richieste d’aiuto.

Questo dimostra non solo che il dramma continua ad essere in atto, ma che il cosiddetto ruolo di “pull factor” (condizione che, all’interno del complesso processo delle migrazioni umane, attrae individui e gruppi umani; in questo caso, l’ipotesi infondata e semplicistica che più imbarcazioni di salvataggio ci sono, più si attirano migranti) non è certo un fattore determinante per chi scappa dalle violenze. Infatti, la presenza sia di navi mercantili sia delle ONG impegnate in prima linea è estremamente ridotta, a causa delle inevitabili restrizioni sulla mobilità. Inoltre, le poche che a Pasqua erano ancora attive si sono trovate come al solito in mare abbandonate a se stesse. Citiamo il caso della Alan Kurdi dell’ONG tedesca Sea-Eye che dopo il soccorso di 146 persone ha dovuto attendere 10 giorni prima dell’assegnazione di un porto di sbarco per gli stessi.

Un secondo caso, negli stessi giorni, ha riguardato l’imbarcazione basca Aita Mari di Salvamento Marítimo Humanitario, che ha recuperato 43 naufraghi alla deriva su un gommone da sei giorni mentre stava rientrando verso la Spagna fuori missione, con il solo personale tecnico a bordo, e quindi senza soccorritori professionali. Attualmente, sia la Alan Kurdi che la Aita Mari si trovano nel porto di Palermo, terminato il periodo di regolare quarantena, bloccate da un fermo amministrativo disposto dalla Guardia Costiera per non specificate irregolarità di natura tecnica e operativa per le quali potrebbe essere necessario l’intervento dello stato di bandiera, con la conseguenza di essere fermate per un lungo periodo. Non c’è ora nessuna imbarcazione nelle acque del Mediterraneo dedita a salvare vite, mentre le traversate continueranno..
Inoltre, recenti e dettagliate inchieste di Avvenire hanno anche accertato l’esistenza, da parte del governo di Malta, di attivi piani di coordinamento di flotte private, senza bandiera e dunque in grave violazione della più elementare legislazione marittima. Tali barche avrebbero avuto il compito di riportare a Tripoli decine di persone (alcune già decedute) disperate e provate da giorni in mare senza acqua né cibo, tra cui una bambina di cinque mesi e una donna incinta. La denuncia di queste azioni è stata sollevata da un gruppo di ONG maltesi presso la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Secondo l’inchiesta di Avvenire e secondo il governo maltese stesso, non può essere all’oscuro di tutto Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere che ordinariamente pattuglia le acque e ha l’obbligo di segnalare imbarcazioni in difficoltà, e che aveva sorvolato la stessa area dove si sarebbero trovate alcune imbarcazioni poi intercettate da Malta.

Queste azioni rappresentano una completa violazione del principio di non respingimento (non-refoulement), ai sensi dell’art, 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, essendo la Libia un paese in guerra, dove peraltro nelle ultime settimane si è assistito a un aggravamento degli scontri. In territorio libico le minacce alla vita, la persecuzione, l’incarcerazione, gli stupri e l’uso della tortura sono all’ordine del giorno, soprattutto per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana, come testimoniato dalla minoranza che riesce a sbarcare indenne in Europa, e come accertato da numerose inchieste di giornalisti, organizzazioni internazionali e persino da un’indagine presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è espresso nel merito, accusando senza mezzi termini le autorità libiche in un dossier presentato al Consiglio di Sicurezza.
Oltre a tutto questo, il Governo italiano, con un decreto interministeriale lo scorso 7 aprile, è tornato a scaricarsi del dovere dell’accoglienza delle imbarcazioni in pericolo, con la motivazione dell’emergenza pandemia. Il decreto dichiara il territorio italiano “porto non sicuro”, peraltro con basi legali molto dubbie, secondo esperti in diritto. Chiusura dei porti, sequestro di navi: qualcosa per cui parte della maggioranza attuale, responsabile di questo, si indignava quotidianamente, e con ragione, con il precedente Governo.

Legambiente Lecco vuole che si tenga alta l’attenzione su questo tema. Auspichiamo che si faccia luce sulle responsabilità dell’Unione Europea e dei suoi stati membri per le consapevoli azioni che hanno portato nell’ultimo mese al mancato salvataggio, obbligatorio secondo le normative di diritto internazionale. Riteniamo necessario inoltre che i quattro ministri firmatari del decreto diano spiegazioni sulla loro decisione di sostanziale chiusura dei porti, considerando anche che azioni analoghe del precedente Governo erano state duramente criticate da almeno uno di loro (il ministro Speranza) e dalla coalizione di cui fa parte.
Constatiamo purtroppo che nell’ultimo decennio ci sia stato un progressivo degrado delle politiche sul tema: preoccupa l’attuale continuità rispetto al recente passato (tanto in Italia come a Malta ed altri Paesi), con il prolungamento dell’accordo con la Libia, sostenendone la criminale sedicente Guardia Costiera (in sostanza piena applicazione della politica di esternalizzazione delle frontiere operata dall’Europa anche con la Turchia: finanziamenti per “gestire l’ordine” trattenendo - e rilasciando- migliaia di migranti in condizioni disumane), e il mantenimento dei due famigerati decreti sicurezza a firma Salvini. Va invece nella direzione giusta la recente iniziativa dalla ministra Bellanova, divenuta decreto, riguardo la regolarizzazione dei braccianti irregolari nelle campagne e, estensivamente, ai lavoratori invisibili nella nostra società (anche se le motivazioni sono dettate soprattutto da necessità lavorative-economiche, piuttosto che umane).

Vogliamo gridare ad alta voce che salvare vite in pericolo non può e non dovrà mai essere trasformato in un compito secondario; una scelta di questo tipo non è assolutamente possibile, nemmeno in una situazione straordinaria, e nemmeno se risulta politicamente impopolare.

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